martedì 21 agosto 2012

"L'orologiaio di Everton" di Georges Simenon (1954)

Il romanzo, scritto da Georges Simenon nel 1954 (tradotto in italiano nel 2005), ha un sapore noir, ma sarebbe a mio parere riduttivo considerare l'opera come espressione di un solo genere letterario. Composite sono le chiavi di lettura a cui si presta il racconto, scritto con una particolare attenzione per le emozioni che provano i protagonisti, prima che per le loro vicende. Il racconto sembra delineare un viaggio introspettivo nei vissuti dei personaggi, da qui la prima associazione con la vita reale: tutti noi ci lasciamo guidare da come interpretiamo i fatti che ci capitano, prima ancora che dai fatti stessi. L'autore sembra esitare nel procedere col racconto, per dare spazio ad apparenti dettagli ambientali, che provocano l'effetto di tenere il lettore in sospeso. La lettura è piacevole. I dialoghi sono arricchiti dai silenzi. Gli oggetti, la dislocazione delle case, i colori delle strade. Ogni cosa si integra a formare un intero mondo fenomenologico, ovvero visto oltre la sterile oggettività, attraverso gli occhi di chi guarda. Il ritmo della lettura sembra trascendere i normali riferimenti temporali: lo stesso respiro del lettore sembra rallentarsi, in sintonia con la narrazione. Il mistero dei personaggi, spesso dalla personalità scontrosa, chiusa e imprescrutabile, sembra evocare il mistero della conoscenza umana. Come in una dialettica di contrapposti, l'attenzione si focalizza sulla riflessione, il profondo e l'essenziale, lasciando sullo sfondo la banalità, la superficialità e il superfluo. Mentre si legge l'opera viene quasi spontaneo chiedersi: come mi sarei sentito io al suo posto? I personaggi all'interno del racconto diventano termini di confronto con se stessi: ciò che di più intimo appartiene ai personaggi, l'anima, viene qui reso esplicito, delicatamente, e oggettivato con semplicità, attraverso i dialoghi, ma anche attraverso le vicende che articolano la storia dei personaggi stessi. Il tema principale del romanzo riguarda la relazione tra genitori e figli. C'è un interrogativo che sembra risuonare ossessivamente. Siamo sicuri di conoscere i nostri figli? E se improvvisamente il loro comportamento apparisse imprevedibile e la loro stessa natura dovesse assumere i caratteri di una mostruosità che mai prima di allora avesse destato il minimo sospetto? Su di un piano filosofico il tema evoca l'etica di Levinas, secondo la quale la conoscenza dell'Altro è una vera e propria illusione. Mai potremo conoscere veramente chi vive al nostro fianco. Da qui l'indicazione che ci si comporta in modo etico quando si agisce come ci si aspetterebbe che gli altri si comportassero con noi, all'interno di un reciproco patto di alterità. Ma un'altra riflessione mi piace qui proporre, questa volta di matrice psicologica: il protagonista del romanzo, il padre, non è riuscito a sviluppare un dialogo col figlio, è convinto di conoscerlo meglio di chiunque altro in un rapporto esclusivo, fondato su gesti e movimenti ripetuti invariabilmente nel corso degli anni, fino a divenire prevedibili, per non dire scontati. L'abitudine in famiglia e nelle relazioni affettive: l'argomento insinua a mio avviso la trappola in cui cascano molte famiglie. Nella professione di psicologo incontro persone che chiedono di essere aiutate e mi riferiscono che hanno perso l'abitudine di parlare: in famiglia troppo spesso gli impliciti si sostituiscono alla relazione. Sembra che la collettività sia affetta da un'epidemia che minaccia la capacità di dialogare, mettendo in crisi quella sana curiosità di interesse reciproco, che dovrebbe invece motivare le famiglie a rimanere unite. Incontro interi nuclei familiari che si lasciano così sopraffare da quella quotidianità, noiosa e ripetitiva, foriera di un disinteresse reciproco che spalanca le porte ad una pesante sensazione di infelicità. Quante volte ci sentiamo soli in casa nostra? Quante volte abbiamo la sensazione di non essere capiti e di tirare avanti in famiglia senza alcuna motivazione a introdurre un qualche cambiamento nelle abitudini di casa? Il consiglio che mi sento di dare alle persone che chiedono il mio parere è di imparare a non dare per scontato neanche le minime attenzioni nei confronti delle persone a cui teniamo, coltivare ogni giorno un sincero interessamento, senza rinunciare a nostra volta ad esporre i nostri vissuti, desideri, aspettative. Parola d'ordine: dialogoare! Trarre spunto da qualsiasi cosa, pur di dialogare. Parlare, raccontare e non rinunciare mai a tale obiettivo, neanche davanti alle persistenti resistenze dei figli adolescenti, piuttosto che dei mariti/mogli stanchi per il lavoro. E poi, dall'altra parte, valorizzare il gesto di attenzione effettuato da chi sta vicino a noi. Capita che le persone non siano soddisfatte di una determinata attenzione, solo se questa è stata esplicitamente chiesta. Insomma: mi hai comprato i fiori o mi hai fatto il regalo di compleanno, ma se te l'ho chiesto non vale. Secondo il mio parere, in questo modo si rischia di ingaggiare una reciproca sequela di rivendicazioni e aspettative deluse, che si finisce per cadere presto in un baratro di rancori e pesanti fardelli relazionali. Naturalmente capisco anche la logica che sottende tal genere di aspettative, perchè se qualcuno si accorge di noi, senza che noi gli indichiamo dove siamo con i nostri desideri, ci sentiamo compresi, da qui la sfida di cogliere al volo il bisogno dell'altro e agire spontaneamente d'anticipo. Tuttavia credo che esista un'altra sfida, complementare: andare oltre la miope rivendicazione dei propri desideri personali: rendere esplicito il sottinteso e oggettivare ció che insieme ci puó rendere felici, nella fiducia che il clima familiare vada curato anche attraverso la capacità di cedere qualcosa di sè a beneficio dell'intera famiglia. In conclusione, il romanzo dimostra una particolare sensibilità dell'autore per quel mondo sterminato che riguarda le emozioni e i vissuti delle persone. Quanto emerge delle personalità dei personaggi è tutt'altro che scontato, sebbene sempre coerente. Il romanzo quindi può essere letto con l'intento di cogliere quali drammi possono conseguire alla carenza di dialogo in famiglia. Consiglio di leggere il romanzo a chiunque.

1 commento:

  1. Simenon è il mio scrittore preferito e nel tema dell'incomunicabilità, a lui molto caro, in questo romanzo raggiunge un'intensità psicologica notevole, geniale dal mio punto di vista. Concordo pienamente con tutto quello che hai detto. Io sono abituata a parlare dei miei sentimenti, sempre, costantemente e in qualsiasi situazione, ma mi rendo conto che a volte sono quasi un'aliena e che le persone mancano totalmente di 'educazione sentimentale'. Parlano per ore di tende, cibo, lavoro, detersivi e ai loro stessi occhi sono degli sconosciuti...Questo nelle dinamiche familiari può essere devastante, perché non chiedere e attendere che l'altro capisca da solo le nostre esigenze è un modo per non permettere a chi frequentiamo di crescere, mentre un'occasione va data a tutti. Bella recensione comunque e bel consiglio!

    RispondiElimina

"Geografia di un dolore perfetto" di Enrico Galiano. Garzanti Editore, 2023

 Non è il primo libro che leggo di Enrico Galiano, qualche tempo fa mi ero imbattuto nella sua opera intitolata " L'arte di sbaglia...